Chi è il mostro? #1
Scivolammo nel gelo di una morte senza abbandono recitando l’antico credo di chi muore senza perdono
Oggi ti avevo promesso un numero uno dello spin-off dove ti parlo di dinamiche di gruppo più mostruose di chi identifichiamo come mostro ed eccoci qua. Informazioni di servizio: questo filone parallelo arriverà ogni tanto, con una cadenza del tutto casuale, sempre il lunedì mattina come se fosse un appuntamento normale con Purgatorio Games quindi non riceverai più mail nella stessa settimana, e sarà contrassegnato dall’oggetto Chi è il mostro? in modo che se l’argomento non ti interessa o ti mette ansia potrai cestinare il messaggio senza manco vedere di che si tratta.
Ciao, sono Sabrina e sono una bimba di Nazzi. Visto che l’ultima puntata del suo podcast Indagini è capitata perfetta per quello di cui ti volevo parlare, faccio aprire a lui questo primo appuntamento.
Una donna in abito da sposa è accanto a una bara.
Intorno a lei ci sono duecento persone. Si dirà poi che quelle duecento persone erano state coraggiose.
Anche l'uomo dentro alla bara è stato vestito con l’abito che indossava il giorno delle nozze. È come se si celebrasse un matrimonio all’interno di un funerale. È stata la donna a volerlo.
È il giugno del 1969, Viareggio, provincia di Lucca, in Versilia. La donna in abito da sposa si chiama Marcella Farnocchia. Suo marito, l’uomo di cui si sta celebrando il funerale, si chiama Adolfo Meciani. Per i giornali e i telegiornali era il mostro più orribile, il mostro tra i mostri, il principale sospettato di un delitto che aveva scosso l’Italia intera.
A me questo inizio sembra perfetto. Al di là della fangirl che mentre ascoltavo il podcast mi urlava dentro STEFANO NAZZI NARRAMI LA LISTA DELLA SPESA, ma vabbè quello è un feticcio mio, mette in chiaro da subito, con un’immagine vivida e commovente, che si parla di un omicidio in cui le vittime sono due: Ermanno Lavorini, il ragazzino assassinato, e quest’uomo nella bara, Adolfo Meciani, bersaglio di una gogna mediatica di una violenza che fa spavento.
Meciani si è impiccato in carcere da innocente, pur avendo un alibi inattaccabile e nonostante contro di lui ci fossero soltanto le testimonianze confuse e cambiate più volte di un paio di ragazzi.
E quindi?
E quindi niente, aveva moglie e figlio ma frequentava un luogo dove si incontravano persone omosessuali in cerca di un po’ d’intimità, e tanto bastava a farlo comparire sui giornali come Il Mostro, e certo che è stato lui a rapire il Ermanno Lavorini, gli ha fatto di tutto prima di ucciderlo.
Nel 1969 non si parlava di omosessuali ma di anormali, capovolti, pedofili. Parole usate con disinvoltura sui giornali. E qualcuno ancora oggi ci prova a riportare in auge quel lessico italico (scusa, non vorrei farti sentire quanto sono arrabbiata ma ogni tanto mi scappa, abbi pazienza).
Conduci una vita non conforme a una certa idea dominante di moralità? Hai un aspetto o un comportamento che possa in qualche modo turbare la quiete di qualcuno? Sicuramente è un demonio che si manifesta attraverso di te.
L’attenzione pubblica viene pilotata sulla tua mostruosità per coprire quella di chi, da sempre, dentro ogni trasformazione sociale, disastro, scoperta geografica o scientifica, si è arricchito sul sangue della collettività. Sono state bruciate sul rogo migliaia di donne per questo motivo, nel corso dei secoli.
Ma essere uomini non tiene al sicuro, e nemmeno essere uomini di chiesa, quando di mezzo c’è questo panico morale, questo voler distruggere l’esistenza di chi devia dalla norma, sacrificare vite umane e la propria stessa libertà in nome di una presunta sicurezza (che in effetti è la parola chiave di certi decreti che… ok ok scusa vado ad arrabbiarmi in un angolo).
Io, prima di ascoltare Nazzi, ti volevo parlare proprio di un processo per stregoneria, dove a essere torturato e bruciato è il curato della chiesa di Loudun.
Aspetta, la faccio da bimba di Nazzi.
Una donna, completamente avvolta da veli neri, scorre le dita fra i petali rinsecchiti di una rosa, come fossero i grani di un rosario. Fissa le fiamme.
Intorno a lei ci sono diciassette suore e centinaia, forse migliaia di persone arrivate da tutta la Francia. Quelle persone sono molto coraggiose: hanno viaggiato tanto per vedere il demonio manifestarsi nelle grida delle suore possedute e dissolversi nel corpo del malvagio prete.
Anche l’uomo in mezzo alle fiamme grida. È come se si celebrasse la sua purificazione mentre viene condannato a morte.
È l’agosto del 1634, Loudun. La donna nascosta dai veli neri si chiama Jeanne Balancier, per gli amici Jeanne Des Anges. L’uomo che le ha regalato le rose, colui che sta bruciando tra le fiamme, si chiama Urbain Grandier. Per tutti era il mostro più temibile, diavolo fra i diavoli, sospettato di aver sconvolto la fede delle orsoline facendo entrare Satana nel loro convento con l’espediente di un mazzo di fiori infestato.
Eccetera.
Stefano Nazzi, esci da questo corpo e lasciami dare un po’ di contesto.
In pratica, Grandier era un giovane curato che piaceva molto alle donne della ridente Loudun, decisamente meno agli uomini. E conciliare spiritualità e pulsioni sessuali, con la Chiesa che per ristabilire il suo potere aveva bisogno di dimostrare che aveva un controllo capillare pure sulle brache del prete nel paese più sperduto della Francia, beh… può farti fare dei nemici potenti.
E infatti.
Dopo diversi anni di scaramucce, alla fine la svolta la dà Jeanne Des Anges.
Lei messa in convento piccolissima, nascosta dal mondo a causa di una malformazione, con un sacco di disturbi psichici che vai a capì se erano dovuti alla segregazione o a un fatto fisiologico che aveva bisogno di un po’ di cura in più, fatto sta che a un certo punto, nel ruolo di priora delle Orsoline, manda una lettera appassionata a Grandier in cui lo invita a (immaginami fare le virgolette con le dita) diventare il padre spirituale del convento. Lui risponde Grazie ma no grazie e addolcisce il rifiuto con un mazzo di rose. Lei non la prende benissimo e comincia ad avere le convulsioni, le allucinazioni, dice di sognare Grandier che ha rapporti con lei, appresso a lei tutte le altre suore si contagiano questo stato di isteria collettiva, hanno allucinazioni e urlano il nome del curato. La situazione diventa un gancio perfetto per i nemici potenti che dicevamo, che costruiscono ad hoc un processo per stregoneria che finisce con la tortura e il rogo di Grandier.
Ne ha scritto Aldous Huxley ne I diavoli di Loudun, un libro molto particolare a metà fra il saggio e il romanzo storico, in cui fa continui paragoni fra passato e presente. Non è che oggi in Occidente non bruciamo più vive donne accusate di essere streghe e allora mo è tutto a posto, perché appunto, cacciamo altre streghe e facciamo loro del male nella malsana convinzione di stare perseguendo il bene in tantissime altre forme. I totalitarismi e certe derive che continuano a tornare c’hanno tutte quella matrice là, in quel panico morale, nell’urgenza di annientare chi ci fa paura.
Scrive Huxley:
Molto più pericolosi dei delitti passionali sono i delitti dell’idealismo, i delitti istigati, incoraggiati e normalizzati da parole sante. Questi delitti sono progettati quando il polso è normale e commessi a sangue freddo e con ferma perseveranza per un lungo corso di anni. In passato, le parole che dettarono i delitti idealistici furono in predominanza religiose; ora esse sono in predominanza politiche. I dogmi non sono più metafisici, ma positivistici e ideologici. Le sole cose che rimangono immutate sono la superstizione idolatrica di coloro che ingoiano i dogmi, e la sistematica follia, la diabolica ferocia, con cui essi agiscono le loro credenze.
In altri appuntamenti di questo spin-off ti dirò anche delle cose più in generale e qualche libro con cui puoi approfondire, ci sono almeno due-tre cose che ti ho accennato proprio di volata su cui vorrò tornare, ma per ora sono andata già lunga; ti lascio alla tua settimana e al nostro gioco.
E allora, fazzoletto in mano, scerea e prea, anzi, scerea e conta: ti suggerisco un gesto d’amore, un gioco per abbassare per un attimo le fiamme del Purgatorio che abitiamo. E poi mi piacerebbe che mi raccontassi com’è andata.
Pensa a una piccola regola sociale che segui senza pensarci. Può essere, boh, non parlare con gli sconosciuti, non fare domande a chi ti sembra triste, non fare complimenti a qualcuno che non conosci… vedi tu. Questa settimana rompi quella regola e osserva cosa succede.
Abbi cura di te e cerca di non farti arrestare,
Sabrina
Ps: Il sottotitolo di oggi viene da questa canzone di De André